CONFERENZA DEI PRESIDENTI
DELLE ASSEMBLEE LEGISLATIVE
DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

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05-10-2018 - ROMA, 05 OTTOBRE 2018

Presentato il Rapporto Censis su “Il ruolo della dimensione regionale nell'evoluzione del mosaico territoriale italiano”

I processi di “ri-accentramento” (nei poteri, nelle funzioni, nelle risorse, negli spazi decisionali) e di riduzione o neutralizzazione della dimensione intermedia da cui è attraversato il Paese non sono indolori. Gli effetti si vedono nella progressiva disaffezione per la partecipazione elettorale che interessa anche il voto locale, nella perdita di fiducia verso le istituzioni periferiche e il loro operato, nella ricerca del consenso che si sgancia dalla rappresentanza, in fenomeni di conflittualità tra i partiti nazionali e i loro eletti negli enti territoriali. Tutto ciò si traduce in una “compressione” della rilevanza politica dei territori. La spinta alla disintermediazione finisce per dunque eludere la complessità del Paese e dunque anche la sua storica forza vitale.
Per questi motivi la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome ha affidato al Censis una riflessione sulle basi di partenza per una nuova constituency regionale e per un ruolo rinnovato dei Consigli regionali come soggetti istituzionali intermedi con competenze e responsabilità nella gestione delle politiche socio-territoriali, tra l’indirizzo politico e la rappresentanza delle comunità regionali. La ricerca presenta una nuova mappa socio-economica dei territori italiani e una lettura dei divari e delle fratture che si stanno determinando. Il lavoro comprende una survey sui consiglieri regionali che analizza la consapevolezza della situazione, registra le attese per il futuro e rileva la disponibilità a svolgere il proprio ruolo con modalità diverse dal passato nell’interesse delle comunità regionali di appartenenza.

No alle “macro-regioni”. La mappatura del Censis evidenzia che la specificità e la differenziazione dei territori italiani rimangono elevate. La disintermediazione e lo “sguardo dall’alto” non possono funzionare per governarne lo sviluppo. Il “mosaico territoriale” del Paese è composto da numerose aree omogenee che tagliano o debordano i confini regionali. L’obiettivo di trasformarle in “aree funzionali” non va perseguito disegnando delle “macro-regioni” (solo il 28,6% dei consiglieri regionali si esprime in tal senso) ma adottando policy relazionali di livello inter-regionale.
Divari ampi e crescenti all’interno delle singole regioni. La variabilità infra-regionale media del valore aggiunto pro-capite, ad esempio, ha superato i 6.000 euro e negli ultimi 10 anni è cresciuta in 14 regioni su 20. Analoga situazione riguarda gli aspetti demografici, la crescita delle imprese, la propensione ad esportare, l’andamento dell’occupazione. Le province più deboli accentuano nel tempo la loro debolezza. Questi divari, ampi e crescenti nel tempo, suggeriscono l’importanza di tornare a guardare con attenzione ai processi socio-economici che innervano i territori. Le Regioni dovranno dotarsi di “sensori della micro-dimensione” in grado di offrire una restituzione puntuale di quanto accade ed evolve nel localismo.
Gli italiani votano sempre meno ma si amplifica lo scarto di affluenza tra le elezioni politiche e quelle regionali (era del 5% nei primi ’90 mentre oggi si attesta intorno al 15%). La gran parte dei consiglieri regionali (74,2%) concorda sul fatto che il regionalismo non “scalda il cuore” degli italiani. E la ragione principale viene individuata nell’incapacità delle regioni stesse di veicolare il senso del loro ruolo.
Solo il 23% dei cittadini italiani ripone fiducia nelle istituzioni locali. Il dato europeo è del 51%. Nelle regioni del Nord Italia la fiducia nelle istituzioni locali è superiore a quella nelle istituzioni centrali (nel Sud del Paese il dato è diametralmente opposto). La maggior parte dei Consiglieri regionali (89,6%) mantiene inalterata la fiducia nel futuro della rappresentanza territoriale. Solo il 10,4% manifesta orientamenti pessimisti con riferimento alla perdita di sovranità degli stessi stati nazionali.
La ridefinizione dei rapporti tra le Regioni e lo Stato centrale viene ritenuta prioritaria: il 61,2% dei consiglieri (che arrivano al 76,9% nel Nord-est) auspicano un riordino complessivo del regionalismo italiano e ritengono indispensabile che il tema venga inserito rapidamente nell’agenda del governo. L’attuale assetto, che prevede una competenza concorrente su alcune materie, viene ritenuto formalmente sensato purché il riparto in verticale dei poteri veda lo Stato realmente impegnato solo nella definizione dei principi generali (68,3%). Si richiede che quando il Governo interviene in materie di sua competenza esclusiva ma con impatti significativi sulla dimensione regionale, attivi necessariamente forme di consultazione preventiva e di cooperazione con le Regioni (90,5%).
Sì al “regionalismo differenziato”. Il 56,3% dei consiglieri è orientato positivamente al riguardo (nel Nord-Est i pareri favorevoli raggiungono il 68% del totale). Solo il 23% degli intervistati ritiene che le Regioni debbano esercitare ovunque le stesse funzioni. Della questione si dibatte dal 2001 e nel frattempo si è delineato un regionalismo differenziato “di fatto”. Basta osservare gli esiti dell’attività delle Regioni nelle competenze loro attribuite: in materia di sanità la quota di popolazione che si ritiene soddisfatta in alcune regioni supera il 60% in altre è inferiore al 20%.
Sì ad una maggiore autonomia su specifiche materie come previsto dall’art. 116 della Costituzione. La pensa in questo modo l’88,9%% dei consiglieri. Su questo tema alcune Regioni si sono già mosse avviando trattative con il Governo nel corso del 2017 (Lombardia e Veneto anche a seguito degli esiti positivi dei referendum regionali del 22 ottobre 2017). Si orienta in questo senso la quasi totalità delle opinioni dei consiglieri del Nord. Nel Centro Italia e nel Sud e Isole la percentuale scende al 76%.
L’elezione diretta dei presidenti non ha realmente aumentato la capacità di incidere delle Regioni. Ne sono convinti il 72,6% dei consiglieri. Addirittura, il 41% dei consiglieri più “esperti” (attivi nelle istituzioni da più di 20 anni) ritiene che la legittimazione “ad personam” dei presidenti abbia ridotto la possibilità delle Regioni di migliorare la vita delle comunità amministrate. Tutti sono d’accordo che la dimensione politica (appannaggio dei consigli) sia stata progressivamente sganciata dalla dimensione istituzionale (direttamente ancorata all’operato degli esecutivi) e che questo abbia estromesso le assemblee elettive dal campo del policy making.
C’è un forte bisogno di rappresentanza dei territori: lo pensa l’89,6% dei consiglieri. Però esiste un “problema-consigli”: il 48,4% degli intervistati è convinto che siano diventati luoghi sterili, simulacro di un’antica cultura istituzionale dove si ratificano al più le decisioni degli esecutivi. Per uscire dall’impasse si chiede in primo luogo un rafforzamento delle prerogative delle assemblee elettive nell’indirizzo strategico dell’ente e nella definizione dell’agenda regionale (attese che si collocano però fuori dal quadro normativo e che potrebbero essere soddisfatte solo con modifiche statutarie o addirittura costituzionali). Decisamente minore è invece l’interesse verso un maggior legame con i territori ed i soggetti rappresentati, o una maggior interlocuzione con enti locali e autonomie funzionali operanti in regione.
La “mission percepita” riguarda la crescita economica della regione piuttosto che l’idea della rappresentanza. I consiglieri ambiscono ad un recupero di ruolo in quello che è oggi lo spazio caratterizzante degli esecutivi. Anche i valori di riferimento di cui si fa portatore il partito di appartenenza non sembrano più di tanto oggetto dell’azione politica quotidiana. Questo spiega forse la maggior frustrazione, anche sul piano piano personale, dei consiglieri con più anni di anzianità nelle istituzioni.

Questi sono i principali risultati del Rapporto “Il ruolo della dimensione regionale nell'evoluzione del mosaico territoriale italiano - Una nuova constituency per il prossimo ciclo politico-istituzionale” realizzato dal Censis per conto della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee Legislative delle Regioni e delle Province Autonome, presentato oggi a Roma da Marco Baldi (Responsabile Area Economia e Territorio del Censis) e Rosetta D’Amelio (Presidente Consiglio regionale della Campania e Coordinatrice della Conferenza), discusso da Dario Di Vico (Corriere della Sera), Giuseppe Tripoli (Segretario Generale Unioncamere) e Giuseppe De Rita (Presidente del Censis).
La Ministra per gli Affari regionali e le Autonomie, Erika Stefani – alla quale era stata presentata la ricerca in anteprima, ha inviato un suo messaggio.

IL RAPPORTO

LA SINTESI